L'ignorante alza la mano

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Felicità, sei tu una saponetta
imbevuta d’acqua, cosicché
trattenerti ci è impossibile
che per il tempo di constatarne
la tua naturalezza volubile.
L’amor ce la fa conoscere
e prima un dono inaspettato,
un amico perso ritrovato,
un talento che si fa conto
non avere per merito assente.
Per maneggiarla fa d’uopo
cautela e mano leggera:
essa impiega un nonnulla
a comparire e meno ancora
a disparire irrefutabilmente.
È un dogma la felicità:
che non si permetta a niuno
d’imporci un concetto attinente
a materia del tutto assente.
Per un bambino è data
da un gioco in più dopo Natale;
per l’adolescente è colta
fra ridde di amci e coetanei;
per un uomo, per una donna
dalla loro intesa sentimentale,
dal legame venutosi a creare
fra di loro, tanto che l’Universo
si condensa nei loro sospiri,
nei loro ostacoli, in un bacio,
in un litigio arcigno da scuse seguito.
Volubile quanto te, Felicità,
c’è forse solo la Fortuna:
tuo prolungamento iniziale,
opera tua giungendo a metà,
speranza quotidiana al fondo.
Sei l’aspirazione di ogni essere,
il miraggio accecante dell’afflitto,
la nave che solca mari sconosciuti.
Sei evanescente, cosicché
ti si rincorre, ti s’aspira
bevendoti poco, mangiandoti meno,
gustandoti appena e non digerendo.
Uomini di cultura, illuminate voi
questa selva d’ignoranti, d’inetti
e di stolti che si figuran felici
i quali, credendolo, lo sono
senza alcun groppo sulla coscienza.

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