Di lontano il poeta

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Distesa sulle colline che
fecero da arbitri ai giochi
di noi all’inizio della salita,
la campagna s’ingrassa
di colori e di terra smossa
dall’aratro e dalla vanga
di mestieri stabili o ‘casionali.
Il cielo si riflette sui campi
ricchi di un brulichìo:
chi caccia e chi scappa
cacciando a sua volta
in uno sciame d’emozioni.
La falce fa gl’interessi
del suolo, la zappa anche
fa la sua parte: l’equilibrio
dev’essere imposto, se no
i forti di numero e prodighi
sovrasterebbero il bilico.
Un germoglio che non c’era
ieri attira a sé mille insetti:
chi al volo, chi strisciando,
chi vorace e chi stanco
da una notte passata
ad inseguir cacciato.
Si fa verde il piano brullo
sino a ier o ieri l’altro,
e la zappa con tonfi sordi
rompe le zolle e scopre
quel che ha da mostrare.
Un cicaleccio si fa largo
nel cielo a San Giacomo
e il poeta che l’ha in storia,
l’ode anche se in altra corte.
Le pendici paiono spianarsi
quando l’umor è sorpreso
da ciò che occhio s’appropria
e piota avverte avanzando.
L’anima rammenta quanto
sfugge ai ricordi: tempi
passati in pienezza di salute
e i giochi nel proprio cortile
di due bambini, poi ragazzi,
ormai uomini entrambi.
A un dei due germani fu data
benedizione di spinger avanti,
oltre la vita il fondo oculare
dei prima, di noi e questa è Vale.

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